Straordinaria scoperta a Casine di Paterno. Il sovrintendente lancia l'appello: "mancano i fondi"

Il mitico Picchio li condusse fino a Casine di Paterno. La straordinaria scoperta del sito archeologico Piceno Tracce di un abitato, una necropoli, oltre 100 reperti Appello del soprintendente: “Mancano i fondi per i restauri, chiediamo aiuto ad enti locali e aziende private”
Il celebre quanto mitico Picchio che periodicamente guidava l’esodo delle giovani generazioni di quel fiero popolo li fece arrivare anche a Casine di Paterno. E ai coloni Piceni quel posto fertile e verdeggiante a nord di Ancona e non lontano dal mare piacque. Così tanto che vi si stabilirono, vi costruirono dimore per la vita e per la morte. E’ una vicenda eccezionale quella che dal 5 settembre scorso continua a raccontare il sito archeologico individuato durante i lavori per la realizzazione della terza corsia dell’A/14. Lungo una stradina parallela all’autostrada, esattamente all’incrocio fra la zona del Taglio e Agugliano. Da allora, la campagna di scavi subito avviata dalla Soprintendenza ai beni archeologi delle Marche insieme agli esperti della società Kora ha portato alla luce oltre un centinaio di reperti, una zona di sepolture, i segni tangibili di un piccolo villaggio risalente almeno a 2500 anni fa.
“Una scoperta eccezionale perché i siti con reperti piceni conosciuti e più vicini a Casine di Paterno sono a Camerano e a Monte San Vito – spiega il dott. Mario Pagano, numero uno della Soprintendenza – ed ora dovremo studiare ancora più a fondo e forse riscrivere la storia degli insediamenti piceni in provincia di Ancona”.
Vero infatti che nell’area a nord di Ancona erano già emerse testimonianze di una storia civile molto antica: a Sappanico una tomba ellenistica; a Paterno un candelabro bronzeo anch’esso di età ellenistica (III-II sec. a.C.); una villa rustica romana nella Selva di Gallignano (per fare alcuni esempi). Vero che sul colle dei Cappuccini, nel capoluogo marchigiano, i Piceni si stanziarono stabilmente, come testimonia la necropoli scavata successivamente a quelle ben più note e vaste di Numana, Sirolo e della zona del Conero in genere. Pagano: “Ma a settentrione di Ancona ci troviamo di fronte ad un caso unico, in un’area riferita in genere alla presenza degli Umbri, dove non era mai stata attestata una presenza ancora più antica, picena appunto”.
L’area in questione, ampia circa 700 metri quadri, è stata sottoposta dai ricercatori guidati dalla funzionaria di zona archeologa Raffaella Ciuccarelli ad analisi stratigrafiche che hanno consentito l’individuazione di due-tre fasi costruttive dell’abitato. Importante, per orientarsi sulla datazione, il fatto che tra il centinaio di frammenti rinvenuti riferibili ad un’attività edilizia non vi siano tegole, solitamente utilizzate in un periodo successivo alla metà del VI sec. a.C. “In ogni caso l’eventuale datazione del villaggio ai secoli precedenti attende di essere confermata da ulteriori indagini, in grado di chiarire il rapporto tra gli esiti delle analisi e la cronologia dei materiali rinvenuti. – ha osservato la dott.ssa Ciuccarelli – Così come va ancora chiarito oltre ogni dubbio se la necropoli sia davvero coeva al villaggio”.
I reperti sono presenti un po’ in tutto il terreno di scavo, ma soprattutto sono stati fino ad ora portati alla luce nel primo e in parte nel secondo dei quattro riquadri planimetrici in cu è stato suddiviso. E ci dicono molto sulle tecniche cui si fece ricorso per erigere piccole dimore simili a capanne. Si tratta di frammenti di argilla concotta, oltre che di incannucciato. L’argilla veniva spalmata e lisciata sul graticcio ligneo di canne intrecciate costitutivo delle pareti delle dimore. Queste ultime sorrette da pali, dei quali sono state individuate alcune buche di fissaggio. Materiale edilizio di risulta è stato poi trovato in grandi fosse, probabilmente usate come depositi in tempi successivi. Molto importante anche il ritrovamento di parti di una piastra forata tipica dell’operatività sul posto di una fornace, reperti che attestano la produzione di ceramica, di cui sono stati raccolti alcuni frammenti di scarto.
L’altro fiore all’occhiello dell’archeo-sito di Casine è la necropoli, del VI secolo a.C., sottostante il manto stradale. Per ora sono tre le tombe oggetto di studio continuo: due fosse quadrangolari, una coi resti di un corpo femminile, l’altra con quelli di una salma maschile; sul fondo della terza, in parte molto deteriorata, le ossa di un bambino. Nelle due tombe di individui adulti erano depositati i relativi corredi funerari. “Disposti in modo regolare e preciso, vicino alla testa e ai piedi degli inumati, secondo una logica molto ricorrente nel mondo antico, anche piceno”, sottolinea la dott.ssa Ciuccarelli. Corredi legati ad una certezza cara anche ai Piceni: la vita prosegue oltre la morte, in un’altra dimensione. Ed ecco cosa comprendono i corredi. Vasi per bere di produzione ellenica, uno nella tomba maschile e due nella femminile. Nella tomba maschile alcuni piattelli rialzati (piccoli piatti) per consumare cibo e la punta di una lancia da combattimento in ferro. Nella fossa funebre della donna anche coppe per bere, diversi pocola, cioè bicchieri in ceramica d’impasto a forma di vaso (cilindrico-ovoidali) con quattro anse a bocca molto larga, una bella kylix attica, cioè una coppa da vino (anche questa in ceramica) molto usata nell’antica Grecia a partire dal VI sec. a.C.. “La tomba maschile presenta i resti di una copertura lignea, a conferma di una tecnica usata dai Piceni - aggiunge la dott.ssa Ciuccarelli – Ne faremo una precisa ricostruzione al computer”. E annuncia: “Gli scavi condotti si concluderanno alla fine di questo mese … e ci sarà ancora molto, davvero molto da fare e da scoprire”. L’obiettivo finale: un’accurata attività di tutela e valorizzazione del patrimonio recuperato, una volta catalogato ed esaminato a fondo. Il soprintendente Mario Pagano pensa ad una pubblicazione scientifica, all’organizzazione di una mostra specifica. Già, ma prima i reperti dovranno essere restaurati. Ed è proprio il problematico termine “restauro” a guastare la festa della Soprintendenza ai beni archeologici.
“Per poter iniziare il restauro di questi reperti piceni occorrerà prima risolvere il grave problema della carenza di fondi. – spiega Pagano – Le già scarsissime risorse a nostra disposizione per i restauri si sono ulteriormente ridotte dopo i recenti tagli di erogazione da parte del Governo. Siamo in una situazione davvero difficile. Un esempio? Nei nostri depositi sono conservati circa 50mila reperti provenienti dall’area del Conero, e sono ancora, appunto, in attesa di restauro”.
Cioè in attesa di fondi che da Roma potrebbero non arrivare mai. E allora? “Per accorciare i tempi non resta che rivolgerci ai privati e agli enti locali, come la Regione. – risponde Pagano - Un sostegno dovrebbe venire dalla Società Autostrade Spa, ma penso soprattutto di coinvolgere come sponsor altre imprese”. Delinea due iter che si incrociano, il soprintendente, per reperire i finanziamenti necessari: i forti incentivi fiscali previsti dal cosiddetto provvedimento (ministro Franceschini, 2014) degli “Art bonus” per le aziende che investono nel patrimonio culturale; un maggiore impegno da parte della Regione Marche, anche in link con imprese locali, nel reperire fondi di progetti europei, impegno già chiesto da Pagano nel corso di un incontro l’estate scorsa con l’assessore regionale alla Cultura Luciano Pieroni.
In foto 1) Alcune delle cassette con parte del centinaio di reperti piceni venuti alla luce a Casine di Paterno 2) Una kylix attica in attesa di restauro 3) Punta in ferro di lancia da combattimento (foto di Silvia Breschi)
Questo è un articolo pubblicato il 22-10-2015 alle 21:50 sul giornale del 23 ottobre 2015 - 7665 letture
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