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Le storie dell'arte: "La Muta" di Raffaello, il più parlante dei ritratti

10' di lettura

Raffaello - La Muta

Nuovo appuntamento con la rubrica "Le storie dell'arte", curata dal Prof. Francesco Maria Orsolini.

E’ tornato nelle Marche ad Urbino, patria di Raffaello che l’ha dipinto, il ritratto de La Muta, reduce da una lunga tournée alla National Gallery di Londra dov’è stato esposto dalla primavera all’estate del 2022, accanto alle altre opere della mostra Raphael. Sulla celebrità della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino sono stati versati fiumi d’inchiostro e di parole, che i più autorevoli storici dell’arte le hanno dedicato nel corso di due secoli, a smentire, ma anche ad esorcizzare il titolo convenzionale dell’opera. Dal 1773 al 1927 il ritratto si trovava nella Tribuna della Galleria degli Uffizi, proveniente dalla collezione del Gran Principe Ferdinando. Non è da escludere che La Muta, proveniente da Urbino, sia stata destinata alle collezioni medicee nel 1637, quando fu celebrato il matrimonio tra il Granduca di Toscana Ferdinando II e Vittoria della Rovere, ultima discendente della famiglia ducale urbinate, che alla corte fiorentina trasferì alcune proprietà e tutti i beni mobili, inclusi quelli artistici.

L’ipotesi contrapposta è che Raffaello abbia dipinto il ritratto a Firenze nel suo soggiorno tra il 1505 e il 1508, su richiesta di un facoltoso committente della stessa città, come gli abiti di raffinata manifattura e i gioielli indossati potrebbero suggerire, viste anche alcune affinità con i ritratti di Agnolo e Maddalena Doni. Nel 1927 Mussolini in persona dispose, sulla base di un tornaconto politico ben calcolato, che un’opera di Raffaello venisse trasferita, anche se solo in deposito, dagli Uffizi alla Galleria nazionale per le Marche. Una volta individuato il ritratto de La Muta, i funzionari del museo fiorentino e poi i fiorentini non la presero bene e fecero di tutto, senza riuscirci, perché quanto deciso dal dittatore fascista non trovasse definitiva attuazione. La ragione di questa reazione estrema è presto detta: fin dalle prime critiche ottocentesche si esaltò la straordinaria resa introspettiva della figura ritratta e l’irraggiungibile valore artistico del dipinto. Eugène Muntz nel 1881 scrisse: “Niente di più emozionante l’espressione di melanconia, o ancor meglio, di nostalgia di questa donna, giovane ancora, che sembra consumata da un dolore segreto…oscillante tra le onde del sogno e il ricordo ancora vivo di una grande sventura” e nel 1920 definì il dipinto “uno dei capolavori più assoluti che si possa vedere” Matteo Marangoni, all’epoca curatore degli Uffizi.

Raffaello, La Muta, particolare

Raffaello, La Muta, particolare

È in questo stesso scritto che, per la prima volta, il ritratto venne associato alla sua attuale denominazione La Muta, anche se preceduta dalla specificazione “detta”, quasi a conclamare una legittimazione per vox populi. E’ stato spesso fatto intendere che il mutismo della figura sarebbe da associare alla sua impassibilità pensosa, mentre sembra molto più credibile far risalire il termine “muta” della vox populi fiorentina allo straordinario effetto di presenza della figura, tanto potente da indurre nell’osservatore il pensiero che manchi all’immagine solo la parola per rendere viva la persona ritratta. Insomma, è ben chiaro che la denominazione La Muta, altro non è se non il riferimento, traslato dalla scultura alla pittura, all’aneddoto michelangiolesco del “Perché non parli?” riferito alla statua del Mosè, preceduto da quello donatelliano, riferito da Vasari allo Zuccone, la statua del profeta Abacuc di fronte alla quale lo scultore fiorentino avrebbe esclamato guardandola: “Favella, favella, che ti venga il cacasangue!”.

Donatello, Profeta Abacuc, 1423, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Donatello, Profeta Abacuc, 1423, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo

Entrambi gli aneddoti sono versioni rimaneggiate del mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi di Pigmalione, il re di Cipro che, scolpita la statua di una figura femminile con forme così perfette e seducenti da essere comparabile a Venere, se ne innamora, ottenendo dalla dea la trasformazione del marmo nella persona di una donna viva. Di altri due possibili riferimenti al mutismo dell’opera di Raffaello, si occupa Lina Bolzoni nel suo saggio Il cuore di cristallo, dedicato al ritratto rinascimentale. Il primo riguarda la tradizione classica della pittura come poesia muta e del ritratto che non ha voce, ripresa da Petrarca e richiamata, in particolare, nei versi del Canzoniere, in cui il poeta descrive la delusione che prova nell’osservare il ritratto di Laura dipinto da Simone Martini, che appare ascoltare le sue parole senza però rispondergli. Il secondo riferimento riguarda Leonardo e le sue teorizzazioni sui modi per rendere parlanti le figure ritratte in pittura, “di modo che, vedendole, tu intenda quello che per loro si pensi o si dica; i quali saranno bene imparati da chi imiterà i moti dei muti, i quali parlano con i movimenti delle mani, degli occhi, delle ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro…Che se le figure non esprimono la mente, sono due volte morte”.

Ben più che dalle sue parole, Raffaello comprese l’insegnamento di Leonardo dai suoi ritratti più famosi, Monna Lisa e Ginevra de’ Benci. Come queste due figure, anche quella de La Muta è posta di “tre quarti”, ovvero né di fronte, né di profilo, una veduta che esalta l’asimmetria del volto e del corpo, che comunica a chi la guarda la posizione spaziale occupata della figura, come se venisse osservata nella realtà. Cosicché il personaggio si libera dalla fissità dell’immagine dipinta per animarsi allo sguardo dell’osservatore, che l’attiva, l’accende come un dispositivo creato per proiettare il riconoscimento dei suoi tratti fisionomici, della sua indole, della sua condizione emotiva, del suo stato sociale. Linee, colori, forme, luci ed ombre reagiscono insieme: è dai loro complessi rapporti reciproci che scaturisce l’intensità espressiva de La Muta. Ma non è solo questa la qualità che ha reso tanto celebre il ritratto, perché Raffaello non si interessa soltanto alla dimensione, di per sé invisibile e intangibile dei leonardeschi moti dell’animo, ma esalta di pari passo anche la dimensione opposta del visibile-tangibile: Ovvero, la concretezza fisica di tutto ciò che la figura accosta a sé nel suo essere umana, inserita nella realtà personale e sociale del suo vivere: la fattura degli abiti, i tessuti con cui sono stati creati, i ricami, i nastri, i nodi, i decori, i finissimi veli di seta che le coprono le spalle e le ordinano i capelli, l’oro e le gemme dei gioielli che indossa.

Raffaello, La Muta, particolare

Raffaello, La Muta, particolare

È dai pittori fiamminghi che Raffaello recepisce questa attitudine ad entrare nei particolari più minuti delle cose, per farci sentire come sono fatte, come se potessimo toccarle con gli occhi, invece che con le dita. Inoltre, come in altri ritratti raffaelleschi e del fiammingo Rogier van der Weyden, oltreché nella Monna Lisa di Leonardo, le mani de La Muta si toccano in un atto apparentemente casuale, al naturale.

Leonardo da Vinci,  Monna Lisa, 1503-1516 ca., Parigi, Museo del Louvre

Leonardo da Vinci, Monna Lisa, 1503-1516 ca., Parigi, Museo del Louvre

Ma l’indice della mano sinistra che si distende lungo il margine inferiore dell’inquadratura non può essere casuale e sta invece a significare un voler indicare.

Raffaello, La Muta, particolare

Raffaello, La Muta, particolare

Che cosa? Possiamo intuirlo e ipotizzarlo mettendo a confronto il dipinto con un altro ritratto, certamente molto imparentato a questo, la cosiddetta Monaca di Ridolfo del Ghirlandaio, datato 1510 ca., quindi di pochi anni successivo.

Ridolfo del Ghirlandaio, Ritratto di monaca (?), 1510 ca. Firenze, Museo degli Uffizi (concessione del Ministero della Cultura / Archivi Alinari, Firenze)

Ridolfo del Ghirlandaio, Ritratto di monaca (?), 1510 ca. Firenze, Museo degli Uffizi (concessione del Ministero della Cultura / Archivi Alinari, Firenze)

I due artisti si erano conosciuti alla bottega di Fra’ Bartolomeo ed erano divenuti amici, tanto che nel 1508, al momento di partire per Roma, dove lo aveva richiesto Giulio II con la presentazione di Bramante, Raffaello incaricò Ghirlandaio di completare la stesura del colore blu sul mantello della Vergine de La belle Jardinière. Anche la figura ritratta da Ghirlandaio è colta nell’atto di indicare e nel suo caso sappiamo anche cosa. Si tratta della tavola che fa da coperchio (tirella) al ritratto, su cui sono dipinte figurazioni a grottesca intorno ad una maschera incarnata e ad una tabella con il motto latino” SUA CUIQUE PERSONA”, “a ciascuno la propria maschera”, ripreso da Seneca e molti secoli dopo fatto proprio da Pirandello.

Ridolfo del Ghirlandaio, Coperto di ritratto di monaca (?), 1510 Firenze, Museo degli Uffizi

Ridolfo del Ghirlandaio, Coperto di ritratto di monaca (?), 1510 Firenze, Museo degli Uffizi

È ancora Lina Bolzoni a commentare la diffusione di questi doppi ritratti, o ritratti a cassetto, diffusi a partire dai primi anni del ‘500, quando passano di moda quelli a dittico, con le due tavole affiancate o affrontate, tra tutti il più famoso quello di Battista Sforza e Federico da Montefeltro, effigiati da Piero della Francesca. Nella versione “a cassetto”, il ritratto si mostra associandosi ad un’altra immagine, quella della tirella o coperto, quando questa tavola viene spostata, lasciando apparire la sottostante, come è ben documentato dal ritratto di Hieronymus Holzschuher, dipinto da Dürer. E’ impossibile ipotizzare il soggetto o il motivo iconografico del coperto de La Muta - peraltro, fino agli anni ’90, Mina Gregori aveva attribuito a Raffaello il coperto della Monaca - ed è una curiosa coincidenza che le dimensioni dei due ritratti abbiano le medesime dimensioni: 48x65 cm. Inoltre, in una famosa lettera indirizzata il 21 aprile 1508 da Firenze allo zio materno Simone di Ciarla di Urbino, Raffaello lo prega di adoperarsi per fargli avere una tavola da un altro zio paterno, da dipingere come coperto (coperta il termine usato da Raffaello) di una Madonna richiestagli da Giovanna Feltria, sorella del duca di Urbino Guidubaldo da Montefeltro, morto giorni prima.

Già vedova di Giovanni della Rovere, signore di Senigallia, prefetto di Roma e nipote di Sisto IV, Giovanna Feltria è stata individuata da Fert Sangiorgi come la persona ritratta ne La Muta, soprattutto in virtù dei segni di lutto che la caratterizzano: il sottile velo nero intorno ai capelli e il colore verde dell’abito, mentre quello che nel 1973 Sangiorgi leggeva come un fazzoletto stretto nella mano sinistra, i recenti restauri del 2014 lo hanno restituito di più incerto riconoscimento, identificabile come guanto o foglio arrotolato di una lettera. Invece, non ha finora trovato riscontri tra gli storici dell’arte la proposta di Enzo Gualazzi, che nel saggio Vita di Raffaello da Urbino ha individuato il personaggio ritratto nella figlia di Giovanna Feltria, Maria della Rovere, vedova di Venanzio Varano di Camerino, fatto trucidare nel 1502 da Cesare Borgia nella rocca di Pergola. Al di là delle varie proposte identificative, ad oggi tutte rimaste tali, è certo che Raffaello abbia voluto esaltare la fede e la devozione della persona ritratta, come dimostra la croce dorata e smaltata che pende sul suo petto, sostenuta da una collana in oro filato, del tutto identica quella indossata da La dama con il liocorno, dalla quale pende, al contrario, un vistoso gioiello con due pietre preziose e una perla.

Raffaello, La Muta, particolare

Raffaello, La Muta, particolare

La croce de La Muta non è e non vuole essere un pendente prezioso, ma un segno che si astrae dalla realtà: lo dimostra il suo porsi in posizione frontale e non di scorcio, non aderente al corpo della figura, come invece tutti gli altri pendenti dipinti da Raffaello nei suoi ritratti.



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Raffaello, La Muta, particolare
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Raffaello, La Muta, 1505-1508, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche (gentile concessione Galleria Nazionale delle Marche)
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Raffaello, La Muta, particolare
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Donatello, Profeta Abacuc, 1423, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
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Leonardo da Vinci, Monna Lisa, 1503-1516 ca., Parigi, Museo del Louvre
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Raffaello, La Muta, particolare
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Ridolfo del Ghirlandaio, Ritratto di monaca (?), 1510 ca. Firenze, Museo degli Uffizi (concessione del Ministero della Cultura / Archivi Alinari, Firenze)
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Ridolfo del Ghirlandaio, Coperto di ritratto di monaca (?), 1510 Firenze, Museo degli Uffizi


Raffaello - La Muta

Questo è un articolo pubblicato il 04-10-2022 alle 17:24 sul giornale del 05 ottobre 2022 - 1290 letture