Le storie dell’arte: Prosegue il viaggio con "San Francesco e i Frati minori: sorella arte dal presepio di Greccio all’Adorazione dei Magi"

Seconda parte dell'approfondimento delle Storie dell'Arte del prof Francesco Maria Orsolini con "San Francesco e i Frati minori: sorella arte dal presepio di Greccio all’Adorazione dei Magi".
Nel 1224, dopo un anno dalla celebrazione a Greccio del presepio di Francesco, papa Onorio III concedeva ai francescani di avere ed utilizzare un altare portatile per la liturgia, che li caratterizzava all’interno della Chiesa nella dimensione dell’itineranza, li dispensava dal dover celebrare la messa in una chiesa e di chiedere per ciò un permesso al vescovo della diocesi in cui si trovavano. In un testo della tradizione minoritica degli stessi anni, citato da Chiara Frugoni, è scritto che Madonna Povertà va a fare visita a dei frati minori, per vedere in quali ambienti vivessero e svolgessero la loro attività pastorale e invece i frati “la condussero in cima ad un colle e le mostrarono tutt’intorno la terra fin dove si poteva spingere lo sguardo dicendo: - Questa signora è il nostro chiostro”.
Giotto (?), Estasi di san Francesco, 1290 ca., affresco, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco
Quanto fosse cambiato lo scenario dell’ordine dei Frati Minori, dalla morte di Francesco già al passaggio verso il nuovo secolo del Trecento, è testimoniato dalla scena dell’Estasi di san Francesco, affrescata alla Basilica Superiore di Assisi. Infatti, l’ambientazione boschiva, notturna e solitaria dell’episodio narrato dalla Legenda maior , in questa traduzione figurativa è sostituita dall’imponenza invadente della porta turrita e della cinta muraria urbana, rispetto alle quali il contesto naturalistico originario è restituito in termini puramente allegorici nei simboli degli alberi. Scelta non casuale, perché è proprio oltre quelle mura, nel corpo vivo della città e del suo ordine sociale, che i francescani già allora esercitavano il loro apostolato, insieme agli altri ordini mendicanti dei domenicani e degli agostiniani. E nel contesto urbano della nuova società mercantile del Tre Quattrocento i Frati Minori prestarono la loro opera di evangelizzazione e di assistenza ai poveri in modi davvero sorprendenti, se non paradossali rispetto al “nulla possedere” di Francesco, alla sua negazione in radice dell’economia della mercatura rappresentata dal padre Bernardone, del cui patrimonio si spogliò pubblicamente e integralmente fino a restare nudo, esponendo come osceno non il corpo che se ne era liberato, ma le vesti sfarzose raccolte dal padre.
Giotto (?), Rinuncia agli averi, 1290 ca., affresco, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco
Il racconto degli sviluppi economici del francescanesimo è svolto in modo analitico nel saggio recente di Luigino Bruni, Capitalismo meridiano. Alle radici dello spirito mercantile tra religione e profitto. Il racconto ha origine dall’invenzione letteraria del purgatorio come luogo e tempo di espiazione delle anime dei defunti in attesa della salvezza e del Paradiso, descritto da Dante nella Commedia e divenuto in breve un topos dell’immaginario e della cultura popolare del tempo, quale la teologia cristiana dei secoli precedenti non era mai riuscita a diffondere. Fu così che la civil mercatura cercò la salvezza dell’anima attraverso due dispositivi morali: il primo è quello della restituzione in punto di morte di gran parte dei patrimoni che erano stati lucrati, spesso servendosi anche dell’usura, in concorrenza con gli ebrei che “tenevano banco” nelle maggiori città italiane ed europee, in molti casi richiesti dai Comuni e dalle Signorie che si alleavano con loro per avere la liquidità finanziaria necessaria alla gestione della cosa pubblica. Il secondo dispositivo morale è il dono, la donazione di notevoli somme di denaro per realizzare beni comuni, come chiese, ospedali, opere d’arte che rendessero più alto il decoro e la magnificenza degli edifici pubblici, dei luoghi di culto e di tutto ciò che in essi era utilizzato per la liturgia. In questo passaggio epocale il ruolo dei francescani è stato decisivo, anche se in parte condiviso con i domenicani, perché seppero interpretare meglio di chiunque altro il salto di mentalità estremamente radicale dei mercatores, che assumevano su di sé tutti i rischi del loro operare economico e che erano spesso anche accolti nei loro Terz’ordini riservati ai laici.
Giovanni Angelo d’Antonio, Annunciazione e Compianto di Cristo, 1456, tempera su tavola, Camerino, Pinacoteca civica
È il caso di Giacomo di Boncambio (patronimico con chiara connotazione mercantile e creditizia), nobile di origini perugine, impegnato in diversi affari di compravendita, documentato residente a Camerino dallo storico dell’arte Matteo Mazzalupi, che lo ha anche individuato come committente, accanto alla consorte in abiti di terziaria, dell’opera Annunciazione e compianto di Cristo, dipinta nel 1456 ca. da Giovanni Angelo d’Antonio per la chiesa del convento francescano dell’Osservanza di Spermento a Camerino.
Le offerte dei mercanti erano rivolte a Dio e per la salvezza della propria anima, ma si servivano di un nuovo strumento: l’affratellamento dei più ricchi con i più poveri in vista di un bene comune, superando l’antico modo morale dell’elemosina per adottare quello moderno di un fare del bene attraverso le opere e in vista di un reciproco interesse. Questo prese forma in modo emblematico nei Monti di Pietà, coinvolgendo “nel progetto, che era bancario ed assistenziale insieme, tanto i privati come il pubblico in un inedito esperimento solidaristico tra ricchi e poveri dove il ricco Epulone (Lc 16, 19) era inviato a soccorrere il povero Lazzaro che a sua volta avrebbe aiutato Epulone a godere della felicità ultraterrena”, come scrive Maria Giuseppina Muzzarelli nel suo Il denaro e la salvezza. L’invenzione del Monte di Pietà. Queste istituzione economiche analoghe alle banche, sono state inventate dai francescani dell’Osservanza, per prestiti su pegno ai poveri e ai bisognosi, che fino a tutto il Trecento erano utilizzati soprattutto dagli ebrei. Nel Quattrocento i loro più attivi predicatori Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Bernardino da Feltre, Giacomo della Marca e Marco da Montegallo svolsero il loro apostolato in alcune delle maggiori città del Centro e Nord Italia, soprattutto al fine di fondare i Monti di Pietà. Il primo fu istituito ad Ascoli Piceno nel 1458, poi a Perugia nel 1462, ancora nelle Marche a Macerata nel 1468, a Fabriano nel 1470, a Jesi nel 1474-75 poi ad Arcevia nel 1483, dove però già nel 1428 è documentata un’istituzione benefica, fondata da Lodovico da Camerino, e in molte altre città italiane.
- La figura della vita eterna o vero del Paradiso et delli modi et vie di pervenire a quello, 1494 ca., xilografia, da Marco da Montegallo, La tabula della salute, Firenze, Biblioteca Nazionale
Lo statuto del Monte di Fabriano venne inserito da Marco da Montegallo nella sua opera La tabula della salute, stampata in seconda edizione nel 1494 a Firenze, con il corredo di una xilografia intitolata La figura della vita eterna o vero del Paradiso et delli modi et vie di pervenire a quello, che può essere considerata un vero e proprio manifesto teologico e ideologico del Monte di Pietà. Questo è rappresentato al centro dell’immagine come cumulo di denaro simile ad un alveare (almeno secondo alcuni studiosi e allo scopo di richiamare la laboriosità delle api), circondato dai derelitti che ne potevano beneficiare, distinti nelle corrispondenti tipologie di bisognosi cui sono dedicate le opere di misericordia: affamati, assetati, ignudi, infermi, pellegrini, carcerati. Per ovvi motivi mancano i defunti a cui dare sepoltura. Più in basso compare l’immagine del frate predicatore che, tenendo in mano un rosario e indicando il Monte di Pietà da un pulpito di legno, si rivolge alla cittadinanza riunita ad ascoltarlo, mentre sull’altro lato il Cristo in pietà appare al di sopra dell’altare in coincidenza dell’eucarestia. La scena è riferita al miracolo di San Gregorio Magno che durante la messa mostrò ad un incredulo l’inverarsi della transustanziazione. Nell’alto dei cieli, ovvero in Paradiso, arriveranno le anime di chi ha iniziato a percorrere la via della salvezza dai Monti di Pietà.
Cristo in Pietà sostenuto da angeli con i Beati Sisto Brioschi da Milano e Ludovico Gonzaga, recto dello Stendardo Monte di Pietà di Reggio Emilia, 1880, rifacimento moderno dell’originale, la cui esposizione processionale è documentata nel 1493, Reggio Emilia, Palazzo Monte di Pietà
La loro istituzione era spesso preceduta da una mobilitazione di popolo, che in processione accompagnava nelle vie e nelle piazze della città uno stendardo. In esso era dipinta l’immagine del Cristo in Pietà, che mostrando i segni del proprio sacrificio sulla croce, si erge tuttavia dal sepolcro sfidando le leggi naturali, a significare la divina compresenza della vita e della morte. Osservando l’immagine del figlio dell’uomo che si è fatto carne, soffrendo fino allo spasimo della morte, i devoti avrebbero dovuto trasferire la loro pietà e carità verso i sofferenti più poveri.
Bernardino da Feltre, verso dello Stendardo Monte di Pietà di Reggio Emilia
Lo stendardo processionale del Monte di Pietà di Reggio Emilia reca sul recto il tema del Cristo morto sorretto da due angeli con i Beati Sisto Brioschi da Milano e Ludovico Gonzaga e sul verso il ritratto di Bernardino da Feltre con accanto un vessillo con il Cristo in pietà e più in basso il cartiglio con la citazione evangelica da Luca, 10, 35 “Habe illius curam” (Abbi cura di lui, riferito a Cristo e ai più sofferenti di cui è l’immagine), mentre con la mano sinistra dispiega un secondo cartiglio con l’esortazione tratta dalla prima Epistola di Giovanni, 2, 15 “Nolite diligere mundum” (non amate il mondo).
Invece i mercanti e banchieri, in particolare a Firenze, scelsero come loro iconografia rappresentativa quella dell’Adorazione dei Magi, nella versione della cavalcata in processione che li conduce fino alla mangiatoia di Betlemme a venerare il Messia. Solo con questa informazione in premessa può essere compresa la presenza dei Magi nell’incisione realizzata a bulino nel 1460 da Baccio Baldini, intitolata Mercurio, assiso su un trono volante trainato da due aquile e riconoscibile dai suoi classici attributi, i calzari alati, strumento di velocità e dinamismo, e il caducéo, bastone con i serpenti intrecciati, che sta a significa la concordia degli opposti.