Le storie dell’arte a cura di Francesco Maria Orsolini: "La casa delle cose: il design raccontato da Roberto Palomba"
Le storie dell’arte A cura di Francesco Maria Orsolini La casa delle cose: il design raccontato da Roberto Palomba
Roberto Palomba e Vittoria Ribighini
Architetto, già docente di Industrial Design al Politecnico di Milano e titolare con sua moglie Ludovica Serafini dello studio Palomba Serafini Associati, Roberto Palomba è stato il protagonista di un recente incontro, vivace e ricco di contenuti, promosso nel suo atelier da Vittoria Ribighini, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Ancona.
L’occasione per parlare di design è scaturita dalla presentazione di una linea di prodotti outdoor disegnata per l’azienda umbra Talenti, ora proiettata sui mercati internazionali anche grazie al rapporto fiduciario e ricco di feeling che si è creato tra progettista e produttore.
Nalu, Studio Palomba-Serafini design, courtesy Talenti S.p.A.
Un valore aggiunto, solo per modo di dire, perché in realtà costituisce lo snodo essenziale per il passaggio di quei contenuti emotivi, senza i quali l’esperienza della progettazione è fortemente impoverita d’ispirazione, di supporto e di potenzialità. In effetti, come ha argomentato Palomba, lo scambio in termini di empatia tra i due poli del committente da un lato e del creatore dall’altro, consente a quest’ultimo di ricevere sotto traccia alcune suggestioni ed evocazioni che poi si trasformano in informazioni di contesto. Per esempio quelle del cosiddetto genius loci, ovvero di come una specifica comunità ha espresso nel tempo e nella propria tradizione culturale il rapporto con il luogo in cui si è insediata, riferibile al clima, al paesaggio, all’ambiente naturale e ai materiali che ne ha ricavati. Sarà poi la creatività del designer a prospettare quelle scelte formali ed estetiche che consentiranno di valorizzare in termini esemplari questo radicamento locale, sia quando il prodotto è
Tribal Big, Studio PalombaSerafini design per Talenti S.p.A., courtesy Atelier Vittoria Ribighini, Ancona
destinato a rimanere nello stesso ambito territoriale per cui è stato progettato (vedi i componenti di arredo di un complesso architettonico), sia quando è proposto nella dimensione globale dei mercati.
Il rapporto regolativo locale-globale è per lo Studio PalombaSerafini la chiave di volta della propria metodologia progettuale, nonché uno degli orientamenti innovativi del design contemporaneo, che sovverte due precedenti capisaldi della tradizione novecentesca: quello del razionalismo e della correlazione univoca forma-funzione, come pure quello, che ha caratterizzato gli anni ’80-’90, dello stile come indice di riconoscibilità e di riconoscimento sociale del designer. Roberto Palomba, che impegna una parte consistente del suo tempo nel viaggiare da un continente all’altro, è capace di conciliare tradizioni formali tra loro lontanissime, come una scala cromatica desunta dall’artigianato salentino, con motivi ad intreccio prodotti in Cina perché solo in una zona precisa di quel paese sono rinvenibili le maestranze che per tradizione riescono a produrre in serie questa parti della lavorazione. Del resto, un simile risvolto singolarmente positivo della globalizzazione è stato già inquadrato e rubricato da teorici del design come Harvey Molotch, che nel suo Fenomenologia del tostapane. Come gli oggetti quotidiani diventano quello che sono, riferisce il caso emblematico della comunità Navaho che fu istruita da imprenditori statunitensi per produrre a minor costo tappeti ispirati ai kilim turchi, ma che poi risultarono essere, per aspetti visivi e tattili, opere felicemente originali, piuttosto che imitazioni imperfette.
Se è vero che, stando almeno a quanto si legge nel saggio di Emanuele Quinz Contro l’oggetto. Conversazioni sul design, “il pianeta stesso è oggi totalmente incrostato dal design come da strati geologici”, agli albori del nuovo millennio l’umanesimo del design deve essere radicalmente ripensato, perché anche nella sua tradizione si rinviene il tratto della dominazione dell’uomo sulla natura, responsabile dell’antropocene. E infatti, è sempre Molotch ad affermarlo, “per gran parte degli oggetti, la soluzione è quella di costruirli in modo da distruggere meno natura in circostanze socialmente accettabili e con un’obsolescenza eco-compatibile”. Indicazioni scrupolosamente adottate anche dallo Studio Palomba Serafini, che per le sue linee di prodotto da interni ed esterni utilizza solo legni da coltivazione, materiali metallici da riciclo, plastiche estratte dagli immensi accumuli oceanici per ricavarne fibre e tessuti impermeabilizzanti destinati all’outdoor. Il modello etico di riferimento corrisponde all’acronimo DTR (Durabilità, Disassemblabilità, Tracciabilità, Riciclabilità), associato al motto meno natura possibile, riformulando in termini di sostenibilità ambientale l’arcinoto assunto progettuale del less is more, coniato da Ludwig Mies van der Rohe, o forse dal suo maestro Peter Behrens.
L’ospite di Vittoria Ribighini ha detto ancora “Noi architetti siamo grandi colonizzatori di spazio”, mentre si potrebbe affermare che il designer è colonizzatore delle cose e degli sguardi che vi andranno a convivere, depositandovi ricordi e biografie personali o familiari. Ma solo a condizione che l’occhio del designer sia aperto come quello alla sommità del Pantheon, perché anche “la fantasia è un posto dove ci piove dentro”. Così ha concluso la sua conversazione Roberto Palomba, citando le Lezioni americane di Italo Calvino e il Purgatorio di Dante.
Palazzo Daniele, Gagliano del Capo, complementi di arredo Francesca+Roberto Palomba design, courtesy Zucchetti S.p.A., Milano
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Questo è un articolo pubblicato il 28-03-2025 alle 11:51 sul giornale del 29 marzo 2025 - 293 letture
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