50 anni dall\'alluvione: il racconto di umana comprensione...

Ho saputo che venerdì 4 settembre, nella sede che ospita l’Associazione Filo d’Argento in via Ascoli Piceno, verrà ricordata l’alluvione che provocò, oltre a dieci morti e a gravissimi danni, tanta paura.
Mi pare di vedere la
disperazione dei familiari delle vittime, che ancora non riescono a capacitarsi
come la tragedia sia toccata a loro: d’ora in poi, i sopravvissuti non saranno
più gli stessi, ciascuna esistenza dovrà fare i conti con quel dramma. Ma la
vita, signori miei, continua, non ci si può arrendere, come se quelle acque che
hanno devastato la nostra famiglia, possano inghiottirsi pure noi: bisogna
reagire. Mi viene da pensare ad un fatto forse accaduto, forse no, di un tale
che ha avuto la moglie e la figlioletta scomparse a seguito dell’alluvione, e
che promette, in quella tragedia, che se mai un domani il destino gli farà
avere un figlio, lo chiamerà con il nome della bimbetta. Ogni nostra umana
esistenza ha in sé qualcosa di bizzarro, e guarda un po’ che quel tale si
innamora, si sposa ed ha il figlio tanto atteso. Tutto sembra procedere secondo
i piani, arriva il giorno della registrazione presso l’anagrafe del Comune,
non
sembra che la cosa possa interessare più di tanto il papà protagonista di
questa storia. Invece sapete cosa è successo?
Trattandosi di un maschio, il
nome della bimbetta doveva cambiare nella sua versione maschile, peraltro nomi
del genere esistevano all’epoca dei fatti, ma all’ufficiale dello stato
civile
quel nome non piaceva, lo riteneva un po’ troppo femminile. Quel pubblico
ufficiale si mostrò irremovibile, nonostante le insistenze e forse anche il
pianto di quell’altro, duramente provato dalla forza dell’alluvione prima e
da
tanta insensibilità poi, mascherate dall’interpretazione di una legge o di un
regolamento. Proviamo per un attimo a chiudere gli occhi e a pensare al dialogo
tra i due, con il film della bimba ancora viva che ti passa avanti per
interminabili secondi, nei quali avresti fatto chissà che cosa pur di trovarti
da un’altra parte.
Le cose non stavano mettendosi bene, quella promessa fatta
davanti alla giovane salma sembrava dovesse soccombere, ma era forse giusto
subire una cosa del genere? No, non era possibile, e i due si son messi a
litigare animatamente, fino a che un vigile, richiamato dalle grida, si è messo
a far da pacere tra i contendenti, trovando un nome molto simile a quello
scelto dal papà, e questa volta il solerte funzionario cedette, o comunque
finì
col lasciar perdere quella singolare contesa.
Così è venuto fuori quel nome, che l’ufficiale dell’anagrafe non avrebbe
voluto.
Casi come questi, in fondo, sono molti di più di quanto si possa pensare, nel
passato non erano infrequenti. Mi viene in mente la vicenda di quel bimbo,
scomparso quando aveva appena un anno nel 1943, a seguito di un bombardamento,
che, non essendosi potuto presentare alla visita militare, fu ritenuto
renitente alla leva, aprendo nella madre e negli altri familiari la voragine
della disperazione di quei momenti che il tempo sembrava aver superato.
Eppure, basterebbe poco ad evitare che la tragedia vissuta si riapra una seconda volta, perché è certo che la ferita si è riaperta, ma questa volta difficilmente verrà rimarginata. Basterebbe che la persona che incontra la vittima della tragedia avesse un po’ di comprensione per quell’evento tanto tragico, non dico che quello deve vestire i panni dell’altro, immedesimarsi con lui, ma almeno deve provare a pensare a che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato lui in quella situazione: ma non è chiedere troppo? Suvvia, sarebbe bastato un pizzico di umana comprensione.
Questo è un comunicato stampa pubblicato il 03-09-2009 alle 16:06 sul giornale del 03 settembre 2009 - 1394 letture