La condanna a Google è una condanna a tutti noi

Non sono solito fare editoriali approfittando della mia veste di direttore responsabile per esprimere le mie idee.
Lo faccio oggi perché ritengo che la condanna a 3 dirigenti di Google sia un fatto di straordinaria gravità.
I fatti.
Nel 2006, alcuni studenti di una scuola di Torino hanno maltrattato un loro compagno di classe affetto da autismo. Non contenti hanno ripreso la scena con un telefonino ed hanno caricato il video su Google Video.
L\'associazione ViviDown ha denunciato la cosa alla magistratura.
Dopo poche ore il video è stato rimosso e grazie alla collaborazione di Google la colpevole è stata identificata ed il Tribunale di Torino l\'ha condannata, insieme ai suoi compagni di classe, dal tribunale di Torino a 10 mesi di lavoro al
servizio della comunità.
Oggi il giudice Oscar Magi ha condannato 4 direginti di Google Italia per violazione della legge sulla privacy a sei mesi di reclusione ciascuno. Pena sospesa.
Gli imputati sono stati assolti dall\'accusa di diffamazione.
La gravità della condanna.
Condannare qualcuno per aver ospitato dei contenuti su un server, contenuti così numerosi che è impossibile verificare completamente è una decisione che non ha precedenti al mondo se non in Cina ed Iran, paesi dove l\'accesso ad Internet non è libero.
Di fatto il principio sancito dalla legge italiana per cui il responsabile di un contenuto disponibile online è chi gestisce il server e non chi lo ha prodotto e pubblicato, lo stesso principio che si applica ai commenti di questo giornale, mina alle fondamenta la libertà di espressione online.
Il vero problema.
La causa di questa situazione è una classe dirigente impreparata, che non conosce il mondo di internet e lo vede come una minaccia senza capirne funzionamenti e dinamiche.
Una classe dirigente vecchia, ancor prima che anagraficamente nella mentalità.
Una classe dirigente disposta a fare a pugni per un minuto di visibilità in televisione ma che non ha sa aggiornare il proprio sito internet, non ha canale su youtube, un account facebook e in molti casi non sa nemmeno utilizzare il proprio indirizzo di posta elettronica.
Le cose, fortunatamente, stanno cambiando. Il gran numero di candidati
che hanno acquistato un banner in quest\'ultima tornata elettorale è
sintomatico di una nuova attenzione alla rete.
L\'appello.
Mi rivolgo a tutti gli amministratori che leggono questo giornale, e so che sono tanti: fate sentire la vostra voce, anche qui, con un commento.
Impegnatevi, per quello che vi compete, a cambiare questa legge. E\' in gioco la nostra libertà.
Questo è un editoriale pubblicato il 24-02-2010 alle 19:08 sul giornale del 25 febbraio 2010 - 1279 letture