Cgil Funzione Pubblica: appalti? è ora di mettere ordine

La cooperativa sociale che ostacola il cambio di appalto e penalizza odiosamente i soci lavoratori. Al di là, a meno di un tardivo ripensamento, dei verosimili risvolti giudiziari, ciò che colpisce, al di là del fatto, è come il mondo cooperativistico, di cui la cooperativa sociale in questione fa parte, possa arrivare a interpretare ruoli così antitetici con la propria ragion d’essere.
Spinta dall’idea di realizzare “l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini”, negli anni ’80, era stato proprio l’iniziativa della cooperazione sociale a contribuire allo sviluppo del welfare locale. Ma evidentemente le crisi economico-finanziarie sempre più ricorrenti hanno poi fatto prevalere un’idea di riduzione della spesa sociale, con politiche neoliberiste, accreditate sulla base di falsi presupposti. Si è sostenuto, infatti, che occorre ridimensionare la presenza dello Stato nell’economia, considerata eccessiva, che serve più mercato, che il privato funziona meglio, è più efficiente, e consente di risparmiare. Gli effetti aberranti non hanno tardato ad evidenziarsi.
Le conseguenze nefaste, in particolare per le classi meno abbienti, sono sotto gli occhi di tutti: depauperamento dei servizi pubblici, mercificazione dei Beni Comuni, caduta della loro qualità, con il peggioramento delle condizioni di vita di persone che da quei servizi traggono sostegno e beneficio. Per non dire dello spreco di risorse pubbliche ingenti che, attraverso appalti non sempre trasparenti, hanno non di rado generato corruzione, arricchimenti personali, e finanziato illegalmente la politica. Peggiorando, non vanno sottaciute, infine, le condizioni dei lavoratori. Che il numero delle unità lavorative nel settore della cooperazione sociale sia aumentato è fuor di dubbio, ma altrettanto innegabile è stata la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei diritti e del salario, il ritorno a forme di sfruttamento inaccettabile. Insomma, un sistema malato che corrompe ogni cosa e che richiede interventi urgenti. Il settore, salvo esemplari eccezioni, è affetto da una febbre alta, che rischia di infettare anche la cooperazione sociale sana. Ecco il problema all’ordine del giorno.
Però, mentre i “grandi” ragionano su come uscire dalla crisi perfetta - la protesta sociale e l’indignazione generale stanno montando in ogni parte del pianeta. Da Draghi a Obama, tutti, o quasi, sembrano concordare sulla legittimità di una rivolta morale che esprima diffidenza sui meccanismi che regolano il funzionamento del sistema finanziario-, ecco che spuntano le solite ricette, privatizzare ancora e comprimere diritti di cittadinanza. Siamo al già visto. Come possiamo contribuire invece alla svolta necessaria ed indispensabile per garantire futuro alla società ed alle nuove generazioni, evitando mortificazione e rassegnazione? Ecco, per tornare al tema inizialmente posto, se riuscissimo a ripensare all’organizzazione del nostro stato sociale, alla sua fondamentale importanza per l’esistenza, la vita quotidiana di tante persone, se si smettesse di pensare alla gestione dei beni comuni come un grande affare per pochi, e invece come opportunità di sviluppo sociale ed economico del Paese intero, avremmo già dato un primo utile contributo.
La politica nostrana, che sembra francamente dibattersi nel nulla, non può perdere questa occasione, deve coglierla e rendersi conto che da questa sfida dipenderà anche la sua legittimazione; e l’opinione pubblica farebbe assai bene a spingere perché ciò accada. Ne va della coesione sociale e della qualità della nostra esistenza.
Questo è un comunicato stampa pubblicato il 27-10-2011 alle 09:57 sul giornale del 28 ottobre 2011 - 673 letture
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