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Lasciare il TFR in azienda o investire in fondi pensione: ecco cosa conviene

3' di lettura Ancona 18/08/2018 -

Sono ormai passati undici anni dalla normativa che dava la possibilità ai lavoratori di scegliere il destino del proprio TFR. Nel 2018 però ancora diverse migliaia di lavoratori non sono a conoscenza di questa possibilità. A partire dalla stipula del contratto e per i primi sei mesi, il dipendente può infatti decidere se lasciare il Trattamento di fine rapporto all’azienda o investirne la totalità o una parte alle forme complementari di previdenza.

Il fenomeno in Italia non è ancora così diffuso, ma nel resto d’Europa – e del mondo – i contribuenti ne hanno colto l’importanza, dal momento che i sistemi previdenziali sociali non sempre garantiscono di restituire al contribuente quanto versato nel corso degli anni. E se i contributi non fanno dormire sonni tranquilli in vista del futuro da pensionato, a risolvere questo patema potrebbero essere proprio gli strumenti finanziari che vanno ad integrare le pensioni. Una delle opzioni a disposizione del lavoratore resta quindi l’investimento del TFR in fondi di previdenza complementare o integrativa, ma da tempo è acceso il dibattito tra gli addetti ai lavori sulla sicurezza e sulla convenienza di tali strumenti finanziari.

A disposizione dei contribuenti vi sono diverse opzioni studiate dal mercato: innanzitutto i fondi pensione, che si dividono in aperti o chiusi. Questi ultimi sono riservati esclusivamente ad alcune classi di lavoratori o si basano sulla provenienza geografica, mentre i primi sono aperti a tutti e consentono di investire in maniera “passiva”, ossia servendosi di un consulente che possa gestire le somme investite da ogni singolo lavoratore in un paniere di titoli. Se però queste opzioni, come evidenzia una analisi sui fondi pensione di Moneyfarm, non lasciano il contribuente al riparo dai rischi dell’inflazione e dello stesso mercato finanziario, dall’altra potrebbero però generare un certo profitto e consentire la gestione di un patrimonio ancor più cospicuo.

Se però l’orizzonte temporale e gli obiettivi sono più lunghi, soluzioni come i piani di accumulo capitale o i Piani Individuali Pensionistici possono fugare anche i dubbi dei più scettici. Questi strumenti finanziari sono infatti caratterizzati da una maggiore libertà, dal momento che è l’investitore stesso a decidere l’ammontare del versamento, che può essere anche ridotto o stoppato in qualsiasi momento. La maggiore trasparenza nel controllo dell’andamento dell’investimento, la flessibilità e la deducibilità ai fini fiscali completano il quadro di uno strumento che, pur non mettendo al riparo da eventuali rischi legati al mercato, consente di mantenere l’investimento al riparo dalla svalutazione dovuta all’inflazione.

Secondo gli esperti dell’Associazione per i Diritti degli Utenti e dei Consumatori, però, la scelta è tra “certezza” e “incertezza”. L’investimento in fondi pensione o piani di accumulo richiede infatti una buona conoscenza dei mercati e delle loro caratteristiche, ma potrebbe alla lunga ottenere risultati migliori rispetto a scelte maggiormente conservative. I lavoratori che decidono di lasciare il proprio TFR all’interno dell’azienda avranno infatti la garanzia di ottenere un tasso annuo dell’1,5%, a cui si aggiunge il 75% dell’inflazione. Obiettivi irreali se l’investimento si riduce ad archi temporali limitati. A fronte di un investimento pluridecennale, però, i mercati finanziari potrebbero riuscire con buone probabilità ad ottenere tassi e risultati ben più confortanti. Ed è sulla scorta di tali risultati e di prospettive confortanti che i piani di accumulo orientati alla pensione sono stati scelti da diversi lavoratori sparsi in tutto il mondo, come confermato dai numeri e dal tasso di penetrazione di questi strumenti.






Questo è un articolo pubblicato il 18-08-2018 alle 08:37 sul giornale del 18 agosto 2018 - 1516 letture

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