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Giornata mondiale contro il cancro. Con il prof. Svegliati Baroni focus sul fegato, "Ecco cosa può fare la prevenzione"

 Gianluca Svegliati Baroni 5' di lettura Ancona 04/02/2022 - In Italia in un anno ci sono 377.000 nuove diagnosi di tumore e nel 2021 hanno causato la morte di 180.000 persone. Anche se molti tumori sono ora curabili, rimangono numeri terribili soprattutto se si considera che il 40% dei casi è in qualche modo prevenibile attuando un adeguato stile di vita e seguendo programmi di screening.

Proprio per sostenere la prevenzione, il 4 febbraio 2010 l’International Union Against Cancer (UICC) ha lanciato la campagna "Anche il cancro può essere prevenuto" per sensibilizzare la popolazione sulle azioni capaci di ridurre significativamente il rischio di sviluppare il cancro. La prevenzione è infatti fondamentale per ridurre l’incidenza di molti tumori, e tra questi anche quello al fegato, sede di tumori sia primitivi (cioè che nascono all’interno del fegato) che secondari (sono cioè metastasi che raggiungono il fegato partendo da altri organi). I tumori primitivi del fegato colpiscono circa 13.000 italiani ogni anno e sono purtroppo caratterizzati da una bassa sopravvivenza sia a 5 anni (20% circa dei pazienti) che a 10 anni (10% dei pazienti), entrando tra le prime cinque cause di morte per neoplasia. Il Prof. Gianluca Svegliati Baroni, Professore Associato in Gastroenterologia dell’Università Politecnica delle Marche e Responsabile dell’Unità di Danno Epatico e Trapianti presso gli Ospedali Riuniti di Ancona, illustra il panorama dei tumori primitivi del fegato.

“In Italia siamo, per così dire, fortunati perché la maggior parte dei casi del tumore primitivo più frequente del fegato (carcinoma epatocellulare, HCC) viene raccolta in un unico database e quindi può esserne studiato il suo andamento negli anni. Generalmente l’HCC insorge su un fegato con fibrosi o cirrosi e questo è un dato fondamentale per la prevenzione. Non bisogna infatti sottovalutare nessun caso in cui un paziente presenti un prolungato incremento degli enzimi del fegato alle analisi di laboratorio. Questo incremento infatti può celare una fibrosi o una cirrosi, e tutti i pazienti con questa condizione devono sottoporsi ogni sei mesi ad una semplice ecografia, che può però permettere di evidenziare il tumore in una fase molto precoce”.

Quali sono le cause più frequenti che possono predisporre a questa situazione?
“Negli ultimi 7-8 anni si è attuata in epatologia una vera e propria rivoluzione. Le epatiti virali da virus B (HBV) e C (HCV), che rappresentavano una grossa fetta delle cause di HCC, sono ora facilmente curabili, e quindi la prima cosa da escludere in un paziente con aumento delle transaminasi è proprio la presenza di queste infezioni. Curarle è l’inizio della prevenzione. Utilizzando il database di cui dicevo sopra, abbiamo però dimostrato che proprio la possibilità di curare queste infezioni ha determinato una drastica riduzione dei casi di HCC legati alle epatiti virali. Attualmente le forme legate all’alterato stile di vita rappresentano la grande maggioranza dei casi di HCC. Mi riferisco in particolare all’eccessivo uso di alcol, all’obesità ed al diabete”.

Quanto incidono queste condizioni sull’insorgenza del tumore del fegato?
“Molto. Innanzitutto, abbiamo dimostrato che queste condizioni sono presenti nella maggior parte dei tumori anche legati alle epatiti virali, quasi che agissero come acceleratori del processo. Ma possono anche da soli indurre dei processi patologici che portano alla formazione dei tumori. Basti pensare che in Italia più del 50% della popolazione generale viene considerata sedentaria (il minimo sarebbe una passeggiata a passo rapido di un’ora per cinque giorni a settimana), circa il 40% è in sovrappeso o obeso, circa il 10% abusa di alcol (sono consentiti due bicchieri di vino per i maschi adulti sani ed uno per le donne adulte e sane al giorno), e solo il 10% della popolazione generale segue un’adeguata dieta Mediterranea”.

Come si riflette questo in termini di prevenzione?
“Purtroppo sappiamo che in Italia solo il 60% dei casi di HCC viene diagnosticato precocemente, tramite appunto quell’ecografia semestrale che devono fare i pazienti con fibrosi o cirrosi epatica. Pensiamo anche che questa percentuale potrebbe ridursi perché i pazienti con epatite virale nota erano spesso seguiti nei vari ambulatori, mentre i casi legati ad alcol, all’obesità ed al diabete sono spesso misconosciuti e non vanno incontro a sorveglianza. E’ quindi fondamentale cercare di determinare il grado di danno epatico nelle tre categorie di pazienti indicate prima, così da eventualmente sottoporle a sorveglianza ecografica, e poi educare il paziente ad uno stile di vita che è utile per la prevenzione di tutte le forme di neoplasia: stop fumo e alcol, controllo del peso corporeo, attività fisica quotidiana, seguire la dieta Mediterranea”.

La Dr.ssa Laura Schiadà Dirigente Medico dell’Unità di Danno Epatico e Trapianti, fa invece il punto sulle terapie. Dottoressa, è cambiato anche qualcosa nella cura di questo tumore?
“Per la cura dell’HCC abbiamo nuove terapie a disposizione ma soprattutto la vera rivoluzione è nella gestione multidisciplinare di questi pazienti, modalità di gestione che si è imposta negli ultimi anni ma che è la vera arma a disposizione per ridurre la mortalità dei nostri pazienti. A seconda delle caratteristiche del paziente e del tumore, infatti, abbiamo tante armi a disposizione che vanno dal trapianto di fegato, alla resezione del tumore, ai trattamenti loco-regionali, fino alle terapie sistemiche di pertinenza oncologica o chemioterapie. Quindi non abbiamo una terapia unica per tutti i pazienti ma ciascun paziente deve ricevere la terapia più adatta al suo caso. Soprattutto il paziente può ricevere, in quello che è un vero e proprio progetto terapeutico che viene preparato al momento della diagnosi in apposite riunioni, più di un trattamento per arrivare all’obiettivo finale, la guarigione. Oltre alle nuove terapie sistemiche, in uscita in questi mesi, è proprio la multidisciplinarietà il segreto della guarigione del paziente con HCC, come avviene agli ospedali Riuniti di Ancona grazie alla collaborazione costante tra epatologi, chirurghi, radiologi, ed oncologi”.








Questo è un articolo pubblicato il 03-02-2022 alle 11:36 sul giornale del 05 febbraio 2022 - 209 letture

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