Le storie dell'arte: Stella Rudolph, Carlo Maratti e il Consiglio pubblico di Ancona, che troppo volle e nulla strinse
Nuovo appuntamento con la rubrica "Le storie dell'arte", curata dal Prof. Francesco Maria Orsolini.
Mentre alla chiesa di S. Francesco a Camerano era ed è tuttora in corso la mostra curata da Stefano Papetti, con alcuni dipinti autografi, disegni e pregevoli calcografie, a Firenze l’opera del cameranese Carlo Maratti è stata al centro di un recente incontro condotto da Andrea Bacchi, Presidente della Fondazione “Federico Zeri” e da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, professore ordinario di storia dell’arte all’Università romana di Tor Vergata. L’incontro si è svolto a nella cornice fastosa di Palazzo Corsini, che ha ospitato la 32a edizione della “Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze”.
Palazzo Corsini, Sala del trono, Firenze
I due storici dell’arte sono intervenuti nella Sala del Trono per presentare l’imminente pubblicazione della monografia dedicata a Carlo Maratti, curata da Stella Rudolph per i dipinti e da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò per i disegni. Attesa da oltre trent’anni, la monumentale opera editoriale sarà pubblicata da Ugo Bozzi nel corso del 2023 ed uscirà postuma per la curatrice Stella Rudolph, considerata la massima autorità sull’artista e venuta a mancare nel 2020 a Firenze, città che aveva scelto come sua patria elettiva. Studiosa anglosassone, indipendente ed estranea all’ambiente accademico italiano, Stella Rudolph è stata molto orientata allo studio del rapporto tra i mecenati e i pittori dall’omonimo saggio di Francis Haskell, dimostrando pari interesse a quanto Roberto Longhi aveva teorizzato nel suo Proposte per una critica d’arte del 1950.
Il saggio è stato recentemente ripresentato in un’edizione arricchita dalla prefazione di Giorgio Agamben, pubblicata per i tipi della pesarese Portatori d’acqua. Per ciò che qui interessa, dalla concisa dissertazione longhiana - peraltro assai densa e polifonica, sia nei riferimenti teorici che in quelli storici – Stella Rudolph sembra averne tradotto in particolare due missioni fondative della sua ricerca di storica dell’arte: la prima è una scrittura che inserisce nel testo termini a sorpresa, desueti o decontestualizzati, per creare un effetto di straniamento nel lettore, con un esito desiderante nella presa di possesso visiva dell’opera d’arte attraverso il testo verbale che la descrive. La seconda è la salda consapevolezza che, come scritto da Longhi, “l’opera d’arte, dal vaso dell’artigiano greco alla Volta Sistina, è sempre un capolavoro squisitamente “relativo”. L’opera non sta mai da sola, è sempre un rapporto...che non involge soltanto il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra”.
E di fatti la Rudolph era ben nota per accumulare attraverso lo spoglio di documenti d’archivio una quantità straripante di dati, che costituivano la fitta rete dei rapporti attraverso i quali la scrittura dei suoi saggi riverberava l’opera degli artisti, primo tra tutti Carlo Maratti. Modo e metodo per evitare la mitizzazione dell’artista e della sua opera, perché, tornando ancora a Longhi, “s’è già troppo sofferto del mito degli artisti divini, e divinissimi; invece che semplicemente umani”. Lampante il riferimento a Raffaello di cui, peraltro, Carlo Maratti era all’epoca considerato degno e stimatissimo erede; nella biografia che gli dedicò l’amico e conoscitore Giovan Pietro Bellori, inconclusa prima che questi morisse nel 1696, il grande artista marchigiano è definito “Raffaello redivivo”. Tanto nobilitante e impegnativo sentiva l’accostamento, che Maratti non esitò nel proporsi a Papa Clemente XI come primo restauratore di Raffaello per gli affreschi di Villa Farnesina e delle Stanze Vaticane.
Inoltre, plasmò il ritratto in rilievo di Raffaello, da cui lo scultore Paolo Naldini ricavò il marmo destinato alla sua sepoltura al Pantheon, come richiamato da Stefano Papetti nel catalogo della mostra di Camerano. Accolto giovanissimo nella bottega di Andrea Sacchi, quando veniva appellato dagli altri pittori col vezzeggiativo di Carluccio delle Madonne, per via dei piccoli e molto apprezzati dipinti devozionali che riproduceva in diverse copie, Carlo Maratti divenne, a partire dal quinto decennio del Seicento, una vera celebrità internazionale, acclamato da papi, cardinali, teste coronate e principi, diplomatici e lord inglesi disposti a impegnare somme da capogiro pur di avere una sua opera. La fama conquistata dall’artista divenne ancor più esclusiva con la morte di Pietro da Cortona prima e del Bernini poi, tanto da meritargli la nomina di principe dell’Accademia di San Luca, la prima volta nel 1664 e poi nel 1706 con la specificazione “perpetuo”, un riconoscimento mai prima attribuito ad alcuno e preteso da Clemente XI in persona. Nel 1704 lo stesso pontefice lo aveva insignito della croce di Cavaliere di Cristo, il cui prezioso e vistoso emblema è ostentato dal Maratti nel proprio autoritratto associato, alla maniera di Velasquez nel dipinto Las Meninas, al ritratto allegorico e celebrativo del suo più facoltoso mecenate e amico, il marchese e banchiere Niccolò Maria Pallavicini.
Carlo Maratti, Il Tempio della Virtù, (autoritratto con il Marchese Niccolò Maria Pallavicini), 1706, Stourhead, The National Trust
L’elaborazione del dipinto durò 15 anni, aggiornato dall’artista come una sorta di palinsesto biografico della sua persona e del committente, tanto che Stella Rudolph lo ha associato al Dorian Gray di Oscar Wilde. Il 1704 è anche l’anno in cui Carlo Maratti è accolto all’Accademia romana dell’Arcadia, che aveva come fondatore e custode generale l’abate maceratese Giovanni Mario Crescimbeni. Insieme a lui entrò a far parte dei “pastori arcadi” la figlia Faustina, effigiata nel famoso ritratto allegorico della Pittura e che in questo circolo di intellettuali umanisti si fece apprezzare per le sue notevoli doti di poetessa.
Carlo Maratti, La Pittura (Faustina Maratti), 1698 ca.Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo
Gli ingredienti della travolgente affermazione di Carlo Maratti sulla scena artistica capitolina sono, la tradizione classicista cinque-seicentesca (Raffaello, Annibale Carracci, Guido Reni, Domenichino), unita ad una libertà d’invenzione ancora barocca, ad un colorismo eloquente, memore della tradizione veneta e, infine, il culto dell’antico attraverso la narrazione mitologica e quella storica romana, che si ancorava alle vestigia dell’Urbe.
Carlo Maratti, Ratto d’Europa, 1680 ca. Dublino, National Gallery of Ireland
Del resto l’antichità a Roma veniva su dalla terra come i tartufi, usando la vivace similitudine del marchese e collezionista Vincenzo Giustiniani, recentemente richiamata da Liliana Borroero. Ma la ricetta o maniera marattesca, per così dire, è ben più complessa della sommatoria dei suoi ingredienti e il lessico critico di Stella Rudolph ne delinea il profilo con straordinario acume interpretativo. Associando Carlo Maratti alla poetica dell’Arcadia, la studiosa ha scritto di “un afrore misto di galanteria e tenerezza”, di una “declinazione intimista” e “malia voluttosa”, di un connubio tra il nostos, come ritorno all’antico, e l’eros.
Anche nei dipinti di soggetto religioso Carlo Maratti non mancò mai di sottolineare la cura di quei particolari che nelle espressioni e nei gesti delle figure sacre, dei santi in particolare, potessero favorire nella devozione dei fedeli un senso di intima vicinanza e di estatico contatto. Precisando che l’artista cameranese va ben oltre l’ossequio a dettami controriformistici, spingendo il rispecchiamento devozionale verso contenuti emotivi e sentimentali che la Rudolph ha anche associato a correnti teologiche eterodosse, come il quietismo di Miguel de Molinos. Proprio in questi giorni, in occasione delle Giornate FAI d’autunno, nelle restaurate Corsie Sistine dell’ospedale romano di S. Spirito in Sassia, il più antico d’Europa, è stata valorizzata una poco conosciuta pala d’altare di Carlo Maratti, incastonata nel ciborio di Palladio e al centro del magnifico tiburio ottagonale attribuito a Baccio Pontelli.
Corsie Sistine, Complesso ospedaliero di S. Spirito in Sassia, Roma
La pala raffigura Giobbe, santo protettore degli ospedali, personaggio biblico afflitto dalla lebbra e sanato da Dio. Nel pagliericcio sporco del suo riparo viene apostrofato dalla moglie che lo esorta ad abiurare la propria fede, con il commento di tre suoi amici.
Carlo Maratti, Pala di S. Giobbe, Roma, Complesso ospedaliero di S. Spirito in Sassia
Adottata nel Seicento anche da Simone Brentana, Luca Giordano e Mattia Preti, l’iconografia del Giobbe marattesco è una prefigurazione veterotestamentaria dell’Ecce homo, il Cristo re sofferente e deriso. Di soggetto religioso è anche l’unica opera conservata ad Ancona di Carlo Maratti ed ora esposta alla mostra di Camerano, la pala raffigurante la Madonna con Bambino e i santi Nicola, Francesco di Sales e Ambrogio del 1762
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Carlo Maratti, Madonna con il Bambino e i santi Nicola, Francesco di Sales e Ambrogio, 1762, Ancona, Pinacoteca civica
In realtà, come riferisce Costanza Costanzi nel catalogo della mostra Da Rubens a Maratta, Ancona avrebbe dovuto ricevere dall’artista un altro importante dipinto, da lui stesso proposto nel 1696 al Consiglio pubblico della città, grazie alla congiunta mediazione dell’arcivescovo Alessandro Sforza e del marchese anconetano Luciano Benincasa, tra loro amici. In cambio dell’opera, Carlo Maratti aveva chiesto al Consiglio pubblico la cittadinanza di Ancona e un compenso assai modesto. Dopo alcuni mesi il Consiglio deliberò la cittadinanza, però associandola ad un “progetto iconografico estremamente complesso” per il dipinto da ricevere in cambio, cosicché l’artista, a fronte di tale richiesta si ritirò in buon ordine, lasciando cadere la sua disponibilità e privando il Palazzo Pubblico di Ancona della sua opera.
Forse il Consiglio di allora non considerò adeguatamente che l’artista con cui stava trattando non era più quel Carluccio delle Madonne degli esordi, ma un Carlo Magno dell’arte italiana, come l’appellò Lione Pascoli. C’è il modo per la città di Ancona di rimediare allo storico malinteso ed è gemellarsi con Camerano per promuovere una grande mostra di Carlo Maratti nel 2025, in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario dalla sua nascita. Un’occasione da non perdere.
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Questo è un articolo pubblicato il 21-10-2022 alle 11:46 sul giornale del 22 ottobre 2022 - 893 letture
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