intervista
Bullismo, Decreto Caivano, la testimonianza di mamma Patrizia: "Avere il coraggio di reagire e di aiutare"

Per tre volte il figlio, diciassettenne, è stato massacrato di botte in pieno centro di Ancona. Quale scelta affrontare? Vendicarsi oppure cercare di aiutare chi è in difficoltà? Patrizia ha scelto la seconda. Abbiamo intervistato Patrizia Guerra, anconetana, mamma di un giovane che per tre volte ha subito violenze dal branco. Dopo il decreto Caivano abbiamo pensato di sentire chi è in prima fila, oltre alle forze dell’ordine. A seguito dele aggressioni ha deciso di collaborare con l’associazione City Angels aprendo una sezione nelle Marche in Ancona. Associazione che opera sulla strada: oltre ad aiutare i senzatetto e le persone in difficoltà svolgono un'attività di prevenzione e contrasto della criminalità, in collaborazione con le forze dell'ordine.
Dopo le aggressioni ricevute, nei suoi confronti e di quelli di suo figlio, decide di aprire una sezione dell’associazione City Angels, già attiva a Milano. Come va con questa realtà associativa?
Partiamo dall’inizio: sono stata aggredita durante la notte bianca in Ancona. Evento importante in città. Molti guardavano mentre mi picchiavano e rimanevano indifferenti, senza reagire. Il giorno dopo mi è sorta una domanda: devo farmi giustizia da sola oppure costruire qualcosa di buono, di alternativo? Per sopperire alla mancanza di aiuto non voglio restituire con la stessa moneta. Non è giusto ed educativo. Allora ho deciso di fare un passaggio importante: prendere contatti con l’associazione City Angels. Ho fatto un percorso di formazione, di crescita personale e aperto la sezione in Ancona. Siamo uno stimolo per alleggerire quel sottobosco sociale recuperando i giovani e non solo.
Fotografiamo il nostro territorio, le Marche. Secondo lei questi casi registrati sono sotto la soglia di preoccupazione oppure iniziamo ad avere un problema sempre più marcato?
La situazione sicuramente è più leggera in confronto alle altre zone d’Italia ma con questo non dobbiamo essere tranquilli. Gli episodi possono essere dietro l’angolo perché i ragazzi sanno di essere impunibili, un fenomeno che si sta allargando soprattutto nelle città più grandi. Dopo i fatti accaduti in Ancona i giovani sono stati puniti come dovuto dalle regole. E dopo un grande lavoro fatto in città la situazione oggi si è alleggerita. Con il "Decreto Caivano" credo che tutto sia più leggero, non risolviamo il problema ma le istituzioni avranno sicuramente strumenti maggiori per intervenire.
Patrizia, mamma coraggio, a proposito di questo decreto, cosa pensa delle misure che vi sono contenute?
Una notizia positiva: sono d’accordo con il decreto Caivano promosso dal Governo al fine di contrastare il fenomeno dei “bulli” e del disagio giovanile. Era ora di adottare una misura chiara e direi completa. Una continuazione del decreto Willy. Sono per la punizione: chi sbaglia paga, deve pagare. Però la mia priorità è la rieducazione del soggetto una volta terminato il carcere oppure il daspo. E’ importante rieducare i ragazzi.
Quindi è d’accordo e trova che le misure del governo possano essere efficaci?
Solo a lungo termine si potranno vedere i risultati e solo se prepariamo il terreno della rieducazione post “punizione”. Passaggio fondamentale per ottenere i benefici di queste azioni. Non possiamo aspettare tre episodi per intervenire come successo alla mia famiglia. L’ultimo ragazzo che ha aggredito mio figlio mi ha scritto per farsi aiutare. La mia priorità è stata la rieducazione del ragazzo. Ho aiutato chi ha sbagliato e questo è importante: rieducare i ragazzi, dare delle possibilità. Vede, tutto parte dalla rete internet, la nuova piazza di comunicazione.
Quindi conferma i dati Censis: sei italiani su 100 non vedono rischi connessi ad internet, quindi alla rete . Ma intanto il 15% dei ragazzi subisce cyberbullismo. I social sono la distesa incontrollata dei giovani?
Le aggressioni sono preparate sui social, soprattutto Instagram. Iniziano a creare gruppi, chat, comunicazioni chiuse dentro quel cerchio impenetrabile. Una volta scelta la vittima e la modalità scatta l’aggressione. Al termine si alza una sorta di trofeo postando foto e video sulle piattaforme social. Una vittoria, che poi in realtà è una sconfitta a 360°. Per essere accettati nel gruppo serve un rito di iniziazione, una prova da superare. Tutto questo perché i giovani sono isolati. Tutto parte dalle famiglie, poi dalla scuola, società e così via.
Mi fa ritornare su alcuni dati della rilevazione 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia, promossa dal Ministero della Salute e dall’ISS, mostra che il 32% dei ragazzi e il 40% delle ragazze adolescenti non dichiara livelli elevati di sostegno familiare ed hanno una maggiore difficolta a parlare con una figura paterna. In soldoni: non si confrontano e si chiudono su se stessi. Secondo lei quanto incide il sostegno familiare e quanto le amicizie degli adolescenti?
Molte famiglie sono disgregate ed è difficile parlare con i propri figli. Alcuni ragazzi che sono con noi ci hanno testimoniato che non parlavano con i genitori quando rientravano a casa. Molto spesso le famiglie non esistevano più. Se esistevano come coppia mancavano i nonni. Ogni volta mancava un tassello del puzzle chiamato famiglia. Vorrei arrivare al dunque: la poca presenza dei genitori, mancanza di affetto, della trasmissione dei valori e la mancanza dei punti fermi. I giovani si isolano indossando queste grandi cuffie, ore trascorse nelle camere da letto trasformate in sale giochi per il gaming. Tutto questo ha portato alla conclusione di essere rinchiusi da soli per ore. Quello che mi fa pensare che sono soprattutto i giochi poco educativi. Tutto incentrato sulla lotta, la guerra. Un giorno un giovane che è venuto da noi mi ha detto: Ho provato a picchiare una persona dal videogioco alla realtà, non avevo altro da fare.
Quindi i giovani si sentono annoiati e senza stimoli. Perché secondo lei?
Alcuni ragazzi hanno tutto. Troppo di tutto. Per tutto intendo beni materiali come telefonini, smartwatch, abbigliamento firmato alla moda. Molto spesso sono regali dovuti per scusarsi delle mancanze da parte dei genitori e familiari. Ma quello che forse manca è quello di cui hanno maggior bisogno: l’affetto, il confronto soprattutto con loro stessi. L’affetto non si compra con i beni materiali e questo, se permette, è una piaga.
Quali sono le esigenze dei giovani? Cosa manca al nostro tessuto sociale, nei comuni, nei quartieri?
Misurarsi con se stessi, favorire ed investire in centri di aggregazione come oratori oppure rivediamo lo sport come passione. Il tempo può essere riempito anche con le attività artistiche come musica ed arte. Per essere diretta e semplice: la semplicità di un oratorio, giocare per strada. Purtroppo c’è un bivio da segnalare: alcuni giovani hanno avuto troppo ed hanno sfogato diventando aggressivi. Altri invece vengono da famiglie dove sono marcate delle mancanze economiche e reagiscono in modo provocatorio le loro difficoltà. Perché non favorire le famiglie che ne hanno bisogno come inserimento allo sport con reddito Isee. Perché non favorire lo sport, le discipline musicali ed artistiche fruibili a tutti? Magari pagando i corsi con gli stessi parametri Isee.
Cosa consiglia a quei genitori che hanno scoperto di avere i figli “bulli”?
I genitori devono chiedere aiuto, non puntarsi il dito tra padre e madre. Molto spesso capita nelle coppie separate. Quando i giovani non chiedono soldi, tornano tardi e non parlano più sono i primi elementi per far scattare il campanello di allarme. I genitori devono controllare i movimenti soprattutto dai 13 anni in poi. In parallelo le amministrazioni locali devono favorire consultori, psicologi, sociologi gratuiti per un sostegno alla persone. La priorità è favorire il vero sostegno e le famiglie non possono permettersi, a livello economico, tutti questi specialisti.
L’altro lato: cosa consiglia agli altri genitori i cui figli hanno subito delle aggressioni?
La prima forza deve essere l’unità della famiglia. Uno sforzo importante è di non avere paura. La paura è la propria forza, quella di reagire. La paura deve trasformarsi in coraggio, non bisogna rinchiudersi, senza ansie. Non è scontato e facile. La mia esperienza: io ero sempre con il sorriso, ho sofferto dentro senza farmi vedere da mio figlio. Altro consiglio: mai arrendersi. C’è sempre una soluzione.
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